Il Parlamento europeo salva Ursula von der Leyen
Una mozione di censura presentata contro la Commissione europea è stata respinta a larga maggioranza, nonostante le critiche alla presidente
Ciao!
Io sono Vincenzo Genovese,
questa è Spinelli, la newsletter settimanale di Will che racconta l’Unione europea da Bruxelles. O da Strasburgo, dove questa settimana il Parlamento europeo ha discusso e votato una mozione di sfiducia contro la Commissione europea: un fatto molto raro, accaduto solo dieci volte nella storia dell’UE.
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Cos'è una mozione di sfiducia?
La mozione di sfiducia (motion of censure) è l’unico strumento con cui il Parlamento europeo può far cadere la Commissione, togliendole la fiducia, proprio come i Parlamenti nazionali possono fare con i governi dei rispettivi Paesi.
Una mozione di sfiducia può essere presentata solo con le firme di almeno un decimo degli europarlamentari (in questa legislatura, 72) e prevede un dibattito in aula con la presidente della Commissione europea prima del voto dell’emiciclo.
Per essere approvata, e quindi determinare le dimissioni dell’intera Commissione europea, una mozione di censura necessita di due condizioni, durante il voto:
- Ottenere il voto favorevole di almeno due terzi dei parlamentari presenti in aula
- Raccogliere un numero di voti favorevoli che rappresenti almeno il 50% più uno degli eurodeputati in carica nella legislatura.
È una soglia molto alta - in questo Parlamento corrisponde ad almeno 360 deputati - e infatti nella storia dell’Unione europea non è mai stata raggiunta. Nei nove casi in cui era stata presentata prima d’ora, la mozione di sfiducia non ha mai ottenuto più voti favorevoli rispetto ai contrari (e in un caso è stata persino ritirata prima della votazione).

L’attacco a (e la difesa di) Ursula von der Leyen
In questo caso la mozione era stata presentata con le firme di 77 eurodeputati, quasi tutti appartenenti a partiti di destra radicale.
La settimana al Parlamento di Strasburgo è cominciata con un dibattito infuocato, tanto che la presidente Roberta Metsola ha dovuto più volte richiamare all’ordine i deputati.
Il promotore della mozione di sfiducia, l’eurodeputato conservatore rumeno Gheorghe Piperea, ha attaccato frontalmente Ursula von der Leyen. Le ragioni della richiesta di dimissioni erano molteplici: il caso Pfizergate che vi avevamo raccontato qui; la presunta interferenza nelle elezioni legislative in Romania e Germania tramite la legge europea che regola le piattaforme digitali; l’aggiramento del Parlamento per approvare una parte del piano di riarmo, di cui avevamo parlato in questo numero di Spinelli.
Von der Leyen ha risposto definendo “estremisti” i 77 eurodeputati che hanno firmato la mozione, molti dei quali considera “burattini della Russia”. La presidente ha difeso il suo operato, in particolare per quanto riguarda l’acquisto dei vaccini contro il Covid19, e chiuso con un appello a tutte le forze democratiche e pro-europee del Parlamento.
Poi la parola è passata ai rappresentanti dei gruppi politici. Manfred Weber del Partito popolare europeo (PPE, lo stesso di von der Leyen) ha difeso la Commissione. Fabrice Leggeri dei Patrioti per l’Europa e René Aust di Europa delle Nazioni Sovrane - i due gruppi più a destra dell’Europarlamento - l’hanno attaccata, parlando di “abusi di potere” e “deriva autoritaria”.
Tra i Conservatori e riformisti europei (ECR) è andato in scena uno scontro interno, con il presidente Nicola Procaccini che ha apertamente criticato i promotori della mozione di censura, deputati rumeni e polacchi del suo stesso gruppo: sfiduciare la Commissione europea significa sfiduciare anche il vice-presidente Raffaele Fitto, membro di Fratelli d’Italia.

I gruppi di centro e di sinistra, invece, hanno preso tutti una posizione piuttosto singolare. Pur opponendosi alla mozione di censura, considerata un insieme di accuse confuse confezionate dalla destra radicale, i loro leader hanno colto l’occasione per criticare Ursula von der Leyen e la direzione che la Commissione da lei guidata ha preso nella prima parte della legislatura.
Secondo Socialisti e democratici (S&D), Renew Europe e Verdi/Alleanza libera per l’Europa, la Commissione sta di fatto assecondando la strategia del leader del PPE Weber, che in alcuni voti chiave ha abbandonato la tradizionale alleanza tra partiti centristi per votare insieme ai gruppi della destra radicale.
La conseguenza di questa dinamica è il progressivo spostamento a destra di alcune politiche europee, soprattutto in tema di immigrazione e ambiente: ultimo esempio in ordine cronologico è l’annuncio del ritiro della direttiva green claims, che ha provocato una vera e propria rivolta in Parlamento, e di cui vi avevamo parlato qui.

Un voto di fiducia, senza troppa fiducia
Nonostante le rimostranze emerse dal dibattito, alla fine questi gruppi hanno votato contro la mozione di sfiducia, difendendo di fatto la Commissione.
Socialisti e democratici hanno affermato di aver ottenuto una concessione importante dalla presidente, prima del voto: la promessa di mantenere nel prossimo bilancio dell’UE il Fondo Sociale Europeo, uno strumento finanziario pensato per sostenere l'occupazione nei 27 Stati membri e promuovere la coesione economica e sociale.
Liberali e verdi hanno fatto questa scelta, pur senza troppa convinzione, per respingere un tentativo di rovesciare la Commissione proveniente dalla destra più estremista, con cui non vogliono in alcun modo collaborare.
Per evitare questa cooperazione, e al tempo stesso esprimere dissenso verso la Commissione, alcuni singoli eurodeputati socialisti, liberali e verdi hanno disobbedito alla linea comune dei loro gruppi e non si sono presentati al voto. Alcune delegazioni, come quella del Partito democratico, si sono divise. Altre, come gli italiani o gli spagnoli nel gruppo dei Verdi, hanno disertato in blocco.
Così ha fatto pure la maggior parte del gruppo della Sinistra, molto critico nei confronti della Commissione europea ma agli antipodi politici rispetto ai promotori della mozione.
Il risultato è stato 360 voti contrari alla mozione, con 175 a favore e 18 astensioni: sfiducia respinta e Commissione europea ancora in sella.
Ma la larga maggioranza di eurodeputati che ha bocciato la mozione di sfiducia non è in realtà così larga, né particolarmente compatta.
I 360 voti contrari sono meno dei 370 con cui la Commissione era stata approvata dal Parlamento, a novembre del 2024. E i 166 assenti alla votazione sono un chiaro segnale alla presidente, perché molti provengono da partiti che in teoria sostengono la Commissione.
Le “diserzioni” sono arrivate da sinistra, ma anche da destra. Dei 33 eurodeputati del gruppo ECR che avevano votato per la Commissione a novembre, solo tre sono rimasti a difenderla a luglio. I 24 membri di Fratelli d’Italia, al tempo favorevoli all’approvazione della Commissione, hanno scelto di non partecipare al voto di fiducia, facendo capire che la loro posizione non è scontata.
Le conseguenze politiche di questa votazione potrebbero essere diverse. Potrebbe ricompattare la fragile maggioranza “centrista” formata da PPE, S&D e Renew Europe, visto che i deputati di ECR si sono schierati contro la Commissione o sono rimasti neutrali.
Potrebbe aprire una battaglia politica sul bilancio dell’UE, che verrà presentato dalla Commissione la settimana prossima: ogni gruppo potrebbe legare il proprio supporto a una priorità economica, come i socialisti hanno fatto con il Fondo Sociale Europeo.
Potrebbe essere l’ultimo atto di fiducia dei Verdi/ALE, sempre più irritati dai passi indietro sul Green Deal e quindi restii a sostenere la Commissione.
Oppure nulla di tutto questo, ma semplicemente una trappola schivata dalla Commissione e dal Partito popolare europeo, che potrebbe proseguire con la sua strategia, fiducioso del fatto che ai rimproveri verbali degli alleati continueranno a non seguire azioni concrete.
Secondo molti eurodeputati, il momento della verità sarà lo Stato dell’Unione, il discorso annuale in cui la presidente della Commissione enuncia le sue priorità per l’anno successivo.
Appuntamento quindi a settembre, sempre al Parlamento europeo di Strasburgo: un luogo che tra un dibattito acceso e un voto ambiguo sembra sempre meno accondiscendente nei confronti di Ursula von der Leyen. Ma al tempo stesso, i gruppi politici che sostengono la Commissione non osano fare una scelta radicale e imporre un cambiamento. Almeno per ora.
DG MEME
Gli autori di DG meme non hanno dubbi su cosa abbia detto Manfred Weber a von der Leyen poco dopo il voto
Altre cose successe in Europa questa settimana 🇪🇺
Il Parlamento europeo ha respinto la richiesta di procedura d’urgenza per l’emendamento alla Legge sul clima, appena presentato dalla Commissione per fissare l’obiettivo di riduzione di gas climalteranti nell’UE al 90% entro il 2040 (ve lo avevamo raccontato qui). Il provvedimento seguirà la procedura ordinaria, cosa che mette in dubbio l’approvazione del target di riduzione entro la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si terrà a novembre in Brasile. Il relatore per la legge in Parlamento sarà un deputato dei Patrioti per l’Europa.
L’Unione europea e Israele hanno trovato un accordo per un “significativo aumento” dell’ingresso di aiuti umanitari nella striscia di Gaza, ha annunciato l’Alta rappresentante per gli Affari Esteri Kaja Kallas. La prossima settimana, Kallas discuterà con i ministri degli Esteri dei 27 Paesi l’accordo di associazione UE-Israele, di cui vi avevamo parlato qui.
La Commissione europea ha presentato la Relazione sullo Stato di diritto 2025. Nel capitolo dedicato all’Italia si segnalano preoccupazioni per la durata dei processi, l’arretratezza tecnologica del sistema giudiziario e la situazione della libertà di stampa.
Fondi di coesione
Da Strasburgo andiamo a Bologna, che grazie a un progetto finanziato dai fondi di coesione europei costruirà una serie di cellule verdi, reintegrando nuovi spazi pubblici nell’area urbana.
Ancora oggi, ogni volta che guardiamo una mappa d’Italia sembra di vedere un Paese diviso in due. Le cause di questo divario continuano a far discutere storici, economisti e ricercatori.
📆 Ma c’è chi crede ancora nel rilancio del Sud. A partire dal nostro reportage “Il Confine Invisibile” ne parleremo insieme il 17 giugno dalle 18:00 a Catania.
Abbiamo deciso di sostenere la raccolta firme per la proposta di legge di iniziativa popolare “Quote Generazionali”, un progetto che punta a riequilibrare la rappresentanza tra generazioni nelle istituzioni politiche.
La proposta ha un obiettivo semplice e potente: garantire uno spazio giusto per giovani, adulti e anziani nei luoghi decisionali, favorendo così innovazione, crescita sostenibile e una politica più rappresentativa.
Ecco cosa prevede concretamente:Per ogni candidato over 60, deve essere presente almeno un under 35
Le liste che non rispettano le percentuali minime previste per fascia d’età non saranno ammesse
Tutte e tre le fasce generazionali (18–35, 36–55, 56+) devono essere rappresentate in proporzione alla popolazione
I partiti che rispettano le quote avranno accesso a incentivi economici e programmi di formazione politica per i giovani
L'obiettivo è raccogliere 50.000 firme, c'è tempo fino al 31 luglio per firmare!
✨ Il primo festival di Will e Chora
È in arrivo il primo festival di Chora e Will!
Dal 26 al 28 settembre a Torino (alle OGR e in altri luoghi della città) succede qualcosa di nuovo: per la prima volta, Will e Chora uniscono le forze per tre giorni di racconti, confronti e visioni.
Ti aspettiamo!
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