Il passo indietro di Von der Leyen sul greenwashing ha aperto una crisi politica in UE
L’annuncio del ritiro della direttiva “green claims” ha scatenato la reazione di socialisti e liberali contro la Commissione europea
Ciao!
Io sono Vincenzo Genovese e questa è Spinelli, la newsletter settimanale di Will che racconta l’Unione europea da Bruxelles, dove questa settimana si è aperta una crisi politica tale da far traballare il sostegno a Ursula von der Leyen.
L’annuncio del ritiro di una proposta di legge da parte della Commissione ha bloccato i negoziati fra Consiglio e Parlamento per approvarla, confuso alcuni governi, e soprattutto suscitato una rivolta interna alla coalizione di maggioranza. Ma facciamo un passo indietro (anzi, più di uno).
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Una legge contro il greenwashing
A marzo del 2023 la Commissione europea aveva proposto una direttiva sui cosiddetti “annunci verdi” (green claims), cioè gli slogan e le immagini che compaiono sulle etichette di prodotti per promuoverne la sostenibilità ambientale: scritte come “100% naturale”, "eco-friendly" o "ad impatto ambientale ridotto”.
Secondo l’analisi della Commissione, il 53% di questi annunci contiene informazioni vaghe o fuorvianti, il 40% non riporta prove di quanto sostiene, e la metà delle certificazioni ambientali è praticamente impossibile da verificare.
Anche l’esistenza di 230 diverse certificazioni di sostenibilità e 100 di utilizzo di energia pulita, con diversi livelli di trasparenza e veridicità, complica la scelta dei consumatori, che faticano a distinguere i prodotti davvero eco-compatibili da quelli spacciati come tali.
È un chiaro esempio di greenwashing: la pratica commerciale scorretta volta a creare nei cittadini una percezione positiva dal punto di vista ambientale, senza che vi corrisponda un reale impegno a favore dell’ambiente.
Per contrastarlo, la Commissione voleva obbligare le aziende a rispettare nei loro annunci criteri chiari, affidabili e verificabili in tutti i Paesi dell’UE, per esempio analizzando l’intero ciclo di vita di un prodotto.
La direttiva “green claims” faceva parte di un Piano d’azione per l’economia circolare, a sua volta compreso nel Green Deal, la strategia dell’UE per azzerare le emissioni nette di gas climalteranti entro il 2050.
È stata poi discussa dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’UE, che riunisce i 27 Stati membri: le due istituzioni avevano adottato la propria “posizione negoziale”, cioè la propria versione della legge, rispettivamente a marzo e a giugno 2024.
Successivamente erano cominciati i negoziati interistituzionali, i cosiddetti “triloghi”: sessioni di confronto in cui i rappresentanti di Consiglio e Parlamento trattano per arrivare al testo finale di un atto legislativo, con la Commissione a fare da mediatrice.
Il 20 giugno 2025, però, la Commissione ha annunciato a sorpresa l’intenzione di ritirare la direttiva, inizialmente senza fornire ulteriori spiegazioni.
Non è la prima volta che la Commissione europea prende una decisione simile: a febbraio 2024, la presidente von der Leyen aveva proclamato il ritiro, ad esempio, di un regolamento sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, destinato a dimezzare i pesticidi chimici entro il 2030.
E non è la prima volta che la Commissione ridiscute la propria legislazione in materia ambientale: in questo numero di Spinelli vi avevamo raccontato la retromarcia dell’agenda verde europea, tra proposte ritirate, regolamenti annacquati, e leggi volte alla semplificazione che di fatto ridimensionano gli obiettivi di sostenibilità.
Nel caso della direttiva “green claims”, la Commissione contesta l’inserimento durante i negoziati di un emendamento per includere nella legge anche le micro-imprese, che invece erano state escluse nella proposta originale.
La cosa, ha spiegato qualche giorno dopo l’annuncio la portavoce della Commissione Paula Pinho, imporrebbe obblighi troppo onerosi per circa 30 milioni di piccole aziende in Europa: una conseguenza che a suo dire distorcerebbe il fine della legge e andrebbe in contrasto con l’obiettivo della semplificazione legislativa tenacemente perseguito in questa legislatura.
L’intera direttiva, quindi, sarà ritirata, a meno che l’emendamento in questione non venga eliminato nei negoziati.
Un rompicapo istituzionale
L’annuncio della Commissione ha subito fermato i triloghi, che secondo gli eurodeputati relatori della direttiva erano a buon punto. Ma il governo della Polonia, che detiene la presidenza di turno dell’UE e dunque coordina il calendario dei negoziati, ha deciso di sospendere le trattative in attesa di maggiore chiarezza.
Sì, perché la Commissione ha annunciato l’intenzione di ritirare la direttiva, ma non l’ha fatto davvero, almeno per il momento. Anzi, secondo alcuni tecnicamente non potrebbe nemmeno farlo.
Il diritto europeo prevede che la Commissione possa modificare o ritirare ogni proposta legislativa in ogni momento della cosiddetta “prima lettura”, cioè la fase della discussione in cui si trova ora la direttiva.
Ma una sentenza del 2015 della Corte di Giustizia dell’UE ha sancito i limiti entro cui esercitare questo potere. La soppressione di una proposta resta possibile a determinate condizioni procedurali: questo serve a evitare che la Commissione utilizzi l’arma del ritiro come una minaccia, per forzare Consiglio e Parlamento a eliminare gli emendamenti sgraditi.
Dato che il ritiro vero e proprio potrebbe configurare un abuso di potere - e magari costare una causa legale - la strategia adottata dalla Commissione sembra più sottile: paventare il ritiro per spingere il Consiglio dell’UE a sospendere i negoziati, e possibilmente abbandonarli definitivamente.
Una tattica che ha già sortito i primi effetti: l’Italia, da sempre contraria alla direttiva, sostiene l’intenzione della Commissione. Se altri Paesi membri si aggiungeranno alla lista dei contrari, potrebbe mancare la maggioranza che ai tempi aveva approvato la posizione negoziale adottata dal Consiglio: la direttiva “green claims” verrebbe dunque sepolta.
La rivolta politica contro von der Leyen
L’iniziativa della Commissione ha avuto però anche un effetto collaterale: spaccare la coalizione dei gruppi politici che la sostengono.
A dicembre 2024, la nuova Commissione era stata approvata dal Parlamento europeo con con 370 voti favorevoli, 282 contrari e 36 astenuti.
Avevano votato a favore, pur con diverse defezioni, il Partito popolare europeo (PPE), i Socialisti e democratici (S&D) e i liberali di Renew Europe, gruppi politici che formano la cosiddetta “maggioranza centrista” e che avevano firmato un vago accordo di coalizione chiamato “Piattaforma di cooperazione”.

Ma ora questa cooperazione è a serio rischio, perché nei primi mesi della legislatura il Partito popolare europeo ha spesso votato inseme ai gruppi di destra radicale (Conservatori e riformisti europei e Patrioti per l’Europa) e contro socialisti e liberali, pur di promuovere le proprie politiche.
Questa alleanza estemporanea viene chiamata a Bruxelles “maggioranza Venezuela”, perché emersa la prima volta in un voto al Parlamento sul riconoscimento dell’oppositore Edmundo González come legittimo presidente venezuelano.
Da allora, si è riproposta in diverse circostanze. Il PPE e i partiti di destra radicale concordano soprattutto su due temi, immigrazione irregolare e ambiente. Nel primo caso vogliono una legislazione molto rigida, nel secondo, piuttosto morbida: linea adottata anche dalla Commissione nelle sue ultime proposte (la lista europea di Paesi di origine sicuri, che vi avevamo raccontato qui, è un chiaro esempio).
Anche sulla direttiva “green claims”, la posizione di popolari e sovranisti è la stessa: con lettere diverse, i vari gruppi avevano chiesto alla Commissione di ritirare la legge, considerata troppo gravosa per le aziende.
Per socialisti e liberali, potrebbe essere l’ultima goccia. Alcuni dei loro eurodeputati hanno espresso la possibilità di ritirare l’appoggio a von der Leyen, a meno di un chiaro impegno nel lavorare con la “maggioranza centrista” invece che con la “maggioranza Venezuela”.
Ma il Parlamento europeo non funziona come quello italiano, dove mettere in minoranza il governo in un voto di sfiducia può bastare a provocarne la caduta.
La mozione di censura, che comporterebbe le dimissioni da parte della Commissione in carica, deve essere proposta da almeno un decimo degli eurodeputati (72), e soprattutto approvata dai due terzi dei voti espressi nell’Europarlamento.
Uno scenario difficile da ipotizzare al momento, ma comunque non impossibile. Soprattutto se il malcontento di socialisti e liberali sfociasse in una decisione radicale, se il gruppo dei Verdi/Alleanza libera per l’Europa la appoggiasse, e se alcuni partiti sovranisti si unissero al proposito di rovesciare von der Leyen, da sempre sgradita a molti di loro.

Intanto, una mozione di censura sul tavolo c'è: l’eurodeputato rumeno conservatore Gheorghe Piperea ha detto di aver raccolto 76 firme per chiedere le dimissioni della Commissione. I capi d’accusa sono interferenza nelle elezioni legislative in Romania e Germania, il caso Pizergate che vi avevamo raccontato qui, e l’aggiramento del Parlamento per approvare una parte del piano di riarmo di cui avevamo parlato qui.
Molto difficilmente questa mozione raggiungerà i voti richiesti, dato che i popolari e tutti i gruppi politici di sinistra non la sosterrano. Probabilmente sarà solo un tentativo a vuoto di far cadere Ursula von der Leyen. Ma forse non sarà l’ultimo.

Altre cose successe in Europa questa settimana 🇪🇺
Gli Stati membri della NATO hanno concordato di destinare il 5% del proprio prodotto interno lordo alle spese per la difesa entro il 2035. La Spagna, uno dei 23 Paesi che fanno parte sia della NATO che dell’UE, ha ottenuto una sorta di deroga promettendo di raggiungere gli stessi obiettivi degli altri con una spesa inferiore.
I 27 capi di Stato e di governo dell’UE riuniti a Bruxelles al Consiglio europeo hanno concordato di rinnovare di sei mesi le sanzioni in vigore nei confronti della Russia. Nessun accordo, invece, sul diciottesimo pacchetto di sanzioni, a causa dell’opposizione della Slovacchia al piano europeo per azzerare le importazioni di gas russo, che vi avevamo raccontato qui.
Il rappresentante speciale dell’UE per i diritti umani Olof Skoog ha concluso che nelle sue operazioni militari a Gaza Israele sta violando gli obblighi di rispetto dei diritti umani inclusi nell’accordo di associazione UE-Israele, di cui avevamo parlato in questo numero di Spinelli. Spetta ora alla Commissione e agli Stati membri, che hanno discusso il rapporto del rappresentante speciale, decidere se e come rivedere l’accordo.
La Commissione europea ha presentato una legge per regolare le attività nello spazio chiamata EU Space Act e una serie di regole per gli aiuti di Stato nel campo delle tecnologie a ridotto impatto ambientale.
La commissione Trasporti e turismo del Parlamento europeo ha avanzato una serie di modifiche al regolamento europeo sui diritti dei passeggeri aerei, tra cui il diritto a un bagaglio a mano da almeno 7 chili in aggiunta al bagaglio personale da 40x30x15 centimetri. Ne abbiamo parlato sulla nostra pagina Instagram:
Fondi di coesione
Da Bruxelles andiamo nel Lazio, dove un finanziamento del Fondo Sociale Europeo ha finanziato 34 progetti dedicati a inclusione e integrazione dei rifugiati ucraini sul territorio regionale, offrendo servizi gratuiti e modulati sulle esigenze di donne, mamme, bambini e adulti.
Abbiamo deciso di sostenere la raccolta firme per la proposta di legge di iniziativa popolare “Quote Generazionali”, un progetto che punta a riequilibrare la rappresentanza tra generazioni nelle istituzioni politiche.
La proposta ha un obiettivo semplice e potente: garantire uno spazio giusto per giovani, adulti e anziani nei luoghi decisionali, favorendo così innovazione, crescita sostenibile e una politica più rappresentativa.
Ecco cosa prevede concretamente:Per ogni candidato over 60, deve essere presente almeno un under 35
Le liste che non rispettano le percentuali minime previste per fascia d’età non saranno ammesse
Tutte e tre le fasce generazionali (18–35, 36–55, 56+) devono essere rappresentate in proporzione alla popolazione
I partiti che rispettano le quote avranno accesso a incentivi economici e programmi di formazione politica per i giovani
L'obiettivo è raccogliere 50.000 firme, c'è tempo fino al 31 luglio per firmare!
✨ Il primo festival di Will e Chora
È in arrivo il primo festival di Chora e Will!
Dal 26 al 28 settembre a Torino (alle OGR e in altri luoghi della città) succede qualcosa di nuovo: per la prima volta, Will e Chora uniscono le forze per tre giorni di racconti, confronti e visioni.
Ti aspettiamo!
🎙️ Ci vediamo per Black Box Live con Guido Brera
Abbiamo lanciato Orbita, il nuovo ciclo di eventi gratuiti di Chora e Will in collaborazione con UniSalute, che si tiene ogni mercoledì sera in Triennale Milano.
🗓️ Mercoledì 2 luglio - ore 19:00
📍 Spazio Voce Triennale - Viale Emilio Alemagna 6, Milano
Vogliamo vivere sempre più a lungo, e sempre meglio. Ma che impatto ha questo sulla nostra società e sull’economia?
Un incontro per esplorare come le trasformazioni demografiche stanno ridefinendo modelli di crescita, equilibrio generazionale e sostenibilità dei sistemi economici.
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