L'Unione europea compra ancora un sacco di gas dalla Russia
Ora però la Commissione vuole eliminare tutte le importazioni di combustibili russi entro il 2027, tra ostacoli politici ed economici
Ciao!
Io sono Vincenzo Genovese e questa è Spinelli, la newsletter settimanale di Will che racconta l’Unione europea da Bruxelles. O da Strasburgo, dove questa settimana il Parlamento europeo ha tenuto la sua sessione plenaria, e la Commissione ha presentato un piano per eliminare tutte le importazioni di combustibili dalla Russia entro il 2027.
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L’UE dipende ancora molto dal gas russo
Dopo tre anni dall’inizio della guerra in Ucraina e 17 pacchetti di sanzioni emessi dall’UE contro la Russia, i Paesi membri continuano a importare gas e petrolio russi, anche se in misura molto minore rispetto a qualche anno fa.
Le sanzioni hanno progressivamente vietato alcuni tipi di importazioni: prima il carbone, poi il petrolio trasportato via mare, poi il gas naturale liquefatto, ma solo verso determinate destinazioni, non connesse alla rete di gasdotti europea.
Lo sganciamento dall’energia russa, che prima della guerra costituiva circa un terzo delle importazioni europee, è stato lungo e problematico, e in realtà non è ancora finito: secondo i dati della Commissione europea, nel 2024 i Paesi dell’Unione hanno importato dalla Russia quasi il 19% del loro gas e il 3% del petrolio.
L’embargo sul petrolio era stato annunciato a maggio 2022, quando ancora si utilizzavano le mascherine anti-Covid-19. “Sarà un embargo totale”, aveva detto la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Dopo oltre tre anni, il petrolio russo continua a essere importato nell’UE, seppur in quantità molto ridotte
La quota è scesa molto (era rispettivamente al 45% per il gas e al 27% per il petrolio a inizio 2022), ma alcuni Stati conservano una forte dipendenza. A causa della vicinanza geografica e della mancanza di sbocchi sul mare, Paesi come Slovacchia, Cechia o Ungheria hanno da sempre fatto affidamento sulle condutture collegate con la Russia per il proprio approvvigionamento. Altri, come l’Italia o la Francia, continuano a importare volumi significativi, anche e soprattutto di gas naturale liquefatto (GNL), che arriva sulle navi.
Il risultato è che, solo nell’ultimo anno, nell’UE sono arrivati 52 miliardi di metri cubi di gas (32 via terra e 20 via mare) e 13 milioni di tonnellate di petrolio greggio, con un costo totale di 21,9 miliardi di euro, secondo i calcoli del think tank Centre for Research on Energy and Clean Air, per cui un quarto dei guadagni delle esportazioni russe di combustibili proviene proprio dall’Europa.
Tutti soldi che finiscono nel bilancio statale russo e contribuiscono a mantenere l’apparato militare del Paese. Di fatto, l’Unione europea continua a finanziare indirettamente la Russia, proprio mentre cerca di minarne l’economia con le sanzioni e supportare l’Ucraina per respingerne l’invasione.
Una proposta graduale
Per risolvere questa contraddizione, e azzerare una dipendenza energetica pericolosa, la Commissione aveva elaborato a inizio maggio un piano di disconnessione energetica chiamato REPowerEU roadmap: la strategia operativa per portare a compimento una volontà manifestata dai capi di Stato e di governo già a marzo 2022, in un vertice svoltosi a Versailles.
L’attuale proposta legislativa, presentata a Strasburgo dal commissario all’Energia Dan Jørgensen, fissa invece scadenze specifiche: dal primo gennaio 2026 il divieto di importazione si applica ai nuovi contratti di fornitura (quelli stipulati dopo il 17 giugno di quest’anno); dal 17 giugno 2026 si applica a tutti i contratti di fornitura a breve termine, e dal primo gennaio 2028 anche ai contratti a lungo termine. Quest’ultima scadenza è quella fissata anche per le importazioni dei Paesi senza sbocco sul mare.
L’obiettivo complessivo è che il 2027 sia l’ultimo anno in cui l’UE acquista combustibili fossili dalla Russia.
Per garantire che l’eliminazione delle fonti russe non provochi danni collaterali ai sistemi energetici, ogni Stato membro dell’Unione dovrà elaborare un piano nazionale di diversificazione con tappe precise di phase-out, da presentare alla Commissione entro marzo 2026.
La Commissione stessa monitorerà i progressi dei Paesi e l’impatto del cambiamento insieme all’Agenzia europea per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell'energia, e potrà prendere misure di emergenza in caso di minaccia alla sicurezza energetica in uno dei 27 Paesi.

I possibili ostacoli al piano della Commissione
Nonostante le rassicurazioni fornite dal commissario Jørgensen, le aziende europee del settore sembrano piuttosto preoccupate, come riporta il quotidiano Politico.
Per evitare di acquistare il gas ordinato in precedenza, queste aziende dovrebbero rescindere i contratti di importazione che hanno stipulato con i fornitori russi invocando “cause di forza maggiore”, cosa che lascia qualche dubbio dal punto di vista giuridico.
La “causa di forza maggiore” infatti, si riferisce di solito a un elemento imprevedibile, sopraggiunto in un momento successivo alla stipula del contratto e tale da richiederne l’annullamento. Visto che la Commissione studia da anni la strategia migliore per vietare il gas russo, difficilmente le aziende potranno dire di essere state prese alla sprovvista in eventuali cause legali.
Oltre ai nodi economici, ci sono quelli politici. Al contrario degli altri divieti di importazione di combustibili russi, inseriti nei pacchetti di sanzioni verso la Russia, quest’ultimo è stato disegnato come un regolamento commerciale.
Il divieto dovrà quindi essere approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’UE a maggioranza qualificata, cioè con il parere favorevole del 55% degli Stati membri, che abbiano almeno il 65% della popolazione totale dell'Unione.
In questo modo, la Commissione aggira il diritto di veto che spetta a ogni Stato membro sulle decisioni di politica estera, come appunto le sanzioni, che vanno approvate all'unanimità. Probabilmente, vuole evitare lunghe trattative e minacce di blocco da parte di due Paesi in particolare: Ungheria e Slovacchia, che oltre a contestare apertamente la strategia dell’UE sulla guerra in Ucraina, sono i più dipendenti da gas e petrolio russo, acquistato a costi contenuti.
I ministri degli Esteri di Budapest e Bratislava avevano già espresso la loro contrarietà all’idea nell’ultima riunione con i loro omologhi a Lussemburgo. L’ungherese Péter Szijjártó aveva criticato la strategia della Commissione, sostenendo che avrebbe raddoppiato o triplicato il costo delle bollette nel suo Paese, ribattezzandola “piano Von der Leyen-Zelensky” e accusando, letteralmente, Bruxelles “di andare a letto con Kiev”.
Ora i governi di Viktor Orbán e Robert Fico, che verranno con ogni probabilità messi in minoranza su questo tema, potrebbero rivalersi bloccando altre decisioni che richiedono l’unanimità, a partire dal 18esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia fino al bilancio dell’Unione europea per il periodo 2028-2034.
Altre cose successe in Europa questa settimana 🇪🇺
L’Unione europea ha discusso della guerra scoppiata fra Israele e Iran, con una riunione di emergenza in videoconferenza dei ministri degli Esteri e un dibattito al Parlamento di Strasburgo. Al netto di toni e dichiarazioni non sempre uniformi, la linea europea sul conflitto punta a una soluzione diplomatica, non condanna Israele per l’attacco preventivo e ribadisce la necessità di impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari.
Consiglio e Parlamento europeo hanno concordato un regolamento che riforma il sistema di ingressi senza visto di cittadini stranieri nell’UE. Al momento 61 Paesi nel mondo godono dell’esenzione dal visto: con le nuove regole sarà più facile sospendere questa esenzione, per i Paesi che compiono violazioni dei diritti umani, o i cui cittadini chiedono in massa asilo negli Stati dell’UE dopo esserci arrivati senza visto.
La Commissione europea ha chiuso un’indagine sulla piattaforma cinese di e-commerce AliExpress, accusandola di non fare abbastanza per prevenire la vendita di merci illegali e pericolose. AliExpress rischia ora una multa pari al 6% del proprio fatturato globale.
Parlamento europeo ha approvato una proposta di legge sul benessere e la tracciabilità di cani e gatti nei Paesi dell’UE. Include un obbligo di microchip e registrazione per tutti gli esemplari detenuti da privati cittadini, e il divieto di utilizzare cani e gatti in mostre, esposizioni o competizioni.
Lotta alla disinformazione online in Sicilia
In una fase storica in cui la disinformazione viaggia veloce e le piattaforme social hanno ridotto i meccanismi di fact-checking, la Regione Sicilia ha lanciato un progetto finanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale con un contributo da 1 milione 824mila euro, per lavorare a un algoritmo in grado di valutare automaticamente l’attendibilità delle notizie pubblicate online.
L’algoritmo analizza tre dimensioni: il testo (rilevando l’eventuale uso di linguaggio polarizzato o emotivamente marcato), lo spazio (inteso sia come struttura del testo sia come composizione dell’immagine associata) e l’autore (verificandone la tracciabilità e affidabilità). Il risultato è un “semaforo” verde, giallo o rosso, per segnalare la probabilità che una notizia sia attendibile o meno. Il progetto si chiama “Fake news”
🎙️ Presentiamo il nuovo podcast Vostro Onore
Abbiamo lanciato Orbita, il nuovo ciclo di eventi gratuiti di Chora e Will in collaborazione con UniSalute, che si tiene ogni mercoledì sera in Triennale Milano.
🗓️ Mercoledì 25 giugno - ore 19:00
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Nella serie “Vostro Onore” raccontiamo la storia di 5 persone che sono state vittime di errori giudiziari, a causa dei quali hanno dovuto trascorrere anche decenni in carcere da innocenti.
Presentiamo questo podcast con gli autori Carlo Notarpietro e Francesca Berardi, ti aspettiamo!
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