L’Europa colpita dai dazi di Trump
Tariffe del 20% saranno applicate a tutte le merci provenienti dall’UE. Commissione e Stati membri preparano le contromisure, mentre regna l'incertezza sui mercati
Ciao!
Io sono Vincenzo Genovese,
questa è Spinelli, la newsletter settimanale di Will che racconta l’Unione europea da Bruxelles. Dalle istituzioni dell’UE ai governi dei 27 Stati membri, tutta Europa è in subbuglio per i dazi imposti dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che entreranno in vigore dal 9 aprile.

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Cosa cambia con i dazi
Il 2 aprile alla Casa Bianca Trump ha annunciato tariffe doganali del 10% da applicare a tutti i prodotti importati negli Stati Uniti. In più, si prevedono tariffe specifiche per circa 60 Paesi (dette “reciprocal tariff”), secondo una lista stilata dall’amministrazione statunitense. Le decisioni rispondono alla volontà di rimediare agli squilibri commerciali tra Stati Uniti e altri Paesi spesso criticati dal presidente.

Per l’Unione europea è prevista una quota del 20%, inferiore a quella di altri grandi partner commerciali degli Stati Uniti come Cina (34%), India (27%) o Giappone (24%)
Eppure, si tratta di un aumento vertiginoso rispetto alle condizioni attuali, per cui le tariffe di ingresso dei prodotti europei negli Stati Uniti sono in media all’1,4%, e per alcuni tipi di merci sono azzerate.
“L’economia globale ne risentirà: milioni di persone pagheranno di più per fare la spesa, trasporti e prestazioni mediche saranno più care, l’inflazione aumenterà", ha detto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, in una dichiarazione in risposta all’annuncio di Trump.
Questi dazi generalizzati sono chiamati dall’amministrazione statunitense “tariffe reciproche”, anche se secondo gli economisti non possono sicuramente essere definite tali.

Alle tariffe reciproche si affiancano le cosiddette “tariffe settoriali” che il governo di Washington prevede per determinati tipi di merci. Di recente sono state annunciate quelle del 25% su acciaio e alluminio e automobili importati negli Stati Uniti. Presto potrebbero essere presentate anche quelle per i prodotti farmaceutici.
Tranne alcune eccezioni per componenti e materie prime particolari, quindi, presto tutto ciò che arriva dall’Europa sarà pesantemente rincarato.
Secondo una prima analisi della Commissione europea, le tariffe reciproche e settoriali sommate insieme riguarderanno il 70% delle esportazioni dall'Europa verso gli Stati Uniti, per un valore totale di 370 miliardi di euro, mentre i dazi imposti ammonteranno a circa 81 miliardi.
Ciò significa che le merci europee costeranno molto di più a chi vuole importarle negli Stati Uniti, e quindi verranno in molti casi estromesse dal mercato, o comunque acquistate in quantità molto più ridotte.
L’impatto per l’UE sarà significativo, visto che le esportazioni negli Stati Uniti sono il 20,6% del totale, secondo i dati del 2024. Alcuni Paesi saranno colpiti più di altri (Germania, Italia e Irlanda hanno i volumi maggiori di export), e alcuni settori saranno colpiti più di altri. Ad esempio, l’industria delle bevande alcoliche prevede un calo nelle vendite da 1,6 miliardi.
Ma non solo: come ha spiegato la Commissione, tariffe così alte imposte a molti Paesi nel mondo hanno anche un “effetto indiretto” sull’economia europea.
Quei Paesi che non riusciranno più a esportare negli Stati Uniti proveranno a dirottare le proprie merci su altri mercati, tra cui quello europeo, che con 440 milioni di consumatori e un PIL pro capite di 25 mila euro resta il primo al mondo.
E visto che il 70% delle merci importate nell’UE non è soggetto ad alcuna tariffa commerciale, prodotti stranieri molto economici potrebbero soppiantare quelli europei.

Cosa può fare l’Unione europea?
Nella sua dichiarazione, Ursula von der Leyen è stata chiara: “Siamo pronti a rispondere”. Meno chiare sono invece, al momento, le contromisure che verranno adottate.

In questi casi, si adotta di solito una serie di “ritorsioni commerciali”, cioè contro-dazi da imporre sulle merci provenienti dal Paese che ha adottato le tariffe.
Come ha fatto capire la Commissione in un briefing riservato alla stampa di Bruxelles, però, non si possono mettere dazi su tutto: ci sono una serie di materie prime, ad esempio, che in Europa non si producono e la cui importazione va quindi incentivata piuttosto che scoraggiata.
Inoltre ogni contromossa potrebbe provocare un’ulteriore risposta tariffaria dagli Stati Uniti, in quella che diventerebbe a tutti gli effetti una “guerra commerciale”: il segretario al Commercio statunitense Howard Lutnick ha affermato infatti che i dazi aumenteranno per quei Paesi che adotteranno ritorsioni.
Il primo passo concreto è previsto la prossima settimana, con l’annuncio di un pacchetto di contromisure ai dazi del 25% sull’acciaio e l’alluminio. I Paesi dell’UE saranno chiamati ad approvarlo il 9 aprile con un voto a maggioranza qualificata invertita: sarà adottato, a meno che non votino contro 15 Stati membri con almeno il 65% della popolazione totale dell’UE.
In parallelo, il commissario al Commercio Maroš Šefčovič si recherà negli Stati Uniti per cominciare a intavolare un negoziato e l’UE continua a mantenere un approccio aperto al dialogo con l’amministrazione Trump, per limitare i danni e concordare una riduzione dei dazi.
Oltre alle tariffe commerciali, un’altra possibile leva negoziale nei confronti degli Stati Uniti riguarda la tassazione dei servizi forniti dalle aziende statunitensi in Europa, dalle banche alle piattaforme digitali, fino alle compagnie aeree obbligate a pagare commissioni più care per atterrare negli aeroporti europei.
Ma mentre le politiche commerciali sono di competenza esclusiva dell’UE, la tassazione rimane una prerogativa nazionale, e sembra quindi più complicato trovare in breve tempo un accordo tra tutti gli Stati membri che renda davvero efficace questa ipotesi.
Sia la Commissione che molti governi, intanto, stanno valutando misure di sostegno per i comparti produttivi più colpiti. La prima, annunciata a fine marzo, è una limitazione alle importazioni di acciaio a basso costo nell’UE, che dovrebbe aiutare i produttori europei.
Le prossime saranno studiate insieme alle aziende stesse, in una serie di “dialoghi strategici” che la Commissione lancerà a breve, cominciando dai settori siderurgico, automobilistico e farmaceutico.
Altre cose successe in Europa questa settimana 🇪🇺
Marine Le Pen, fondatrice del partito di destra radicale francese Rassemblement National, è stata condannata a quattro anni di reclusione e 100mila euro di multa, per appropriazione indebita di fondi pubblici quando era deputata al Parlamento europeo. La condanna comporta anche cinque anni di ineleggibilità che, se confermati nella sentenza di appello, le impediranno di candidarsi a presidente della Repubblica in Francia nel 2027.
Il governo finlandese ha deciso di aumentare la spesa destinata alla difesa dal 2,1% al 3% del prodotto interno lordo entro il 2029. La Finlandia si ritirerà anche dalla Convenzione di Ottawa sulla proibizione di uso, stoccaggio, produzione e vendita di mine antiuomo.
Il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu ha compiuto una visita in Ungheria, nonostante sia destinatario di un mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale. Proprio in contemporanea alla visita di Netanyahu, il governo ungherese ha annunciato la sua intenzione di recedere dall’accordo internazionale sul riconoscimento della Corte, a cui aderisce come tutti gli altri Paesi dell’UE. Delle divergenze sempre più frequenti fra Viktor Orbán e le istituzioni dell’UE abbiamo parlato in questo numero di Spinelli.
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Cinque nuove priorità per i fondi di coesione
Nella sua revisione di medio termine, la Commissione europea ha proposto di modificare le regole sugli incentivi per spendere i fondi di coesione, individuando cinque aree cruciali di investimento: difesa, questione abitativa, competitività e decarbonizzazione, resilienza idrica e transizione energetica. Qui la spiegazione della decisione e le risposte alle domande sui fondi di coesione da parte della Commissione.
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