Un compromesso per il futuro dell'Unione europea
Con il nuovo "Patto di stabilità e crescita" cambierà la governance economica dell'UE
Ciao!
Io sono Vincenzo Genovese e questa è Spinelli, la newsletter settimanale di Will che racconta l’Unione europea da Bruxelles.
I giorni fra Natale e Capodanno sono quelli in cui in Italia viene adottata la Finanziaria, cioè la legge di bilancio per l’anno successivo. Questa volta l’approvazione definitiva del Parlamento è arrivata il 29 dicembre, a pochi giorni di distanza da un accordo molto importante per i conti pubblici del nostro Paese.
Il 20 dicembre 2023, infatti, i ministri dell’Economia e delle Finanze dei 27 Paesi dell’Unione europea hanno concordato una “revisione della governance economica dell’UE”: cioè quell’insieme di regole e procedure che stabiliscono i limiti di spesa pubblica degli Stati, chiamato “Patto di stabilità e crescita”.
“Le nuove regole sono più credibili e più realistiche, perché rispondono alla realtà del mondo post-pandemia” ha commentato la ministra dell’Economia spagnola Nadia Calviño, che ha condotto i negoziati: l’accordo è arrivato durante la presidenza di turno spagnola dell’UE.
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🗣️ Un negoziato lungo e difficile
I cardini di queste regole sono fissati nel Trattato sul funzionamento dell'UE: ogni Paese deve mantenere il proprio deficit fiscale (cioè la differenza tra le uscite e le entrate nelle casse statali) al di sotto del 3% del proprio Prodotto interno lordo (PIL). Il debito pubblico (cioè i soldi che uno Stato deve a soggetti pubblici e privati) deve invece restare al di sotto del 60% del PIL.
Siccome la maggior parte dei Paesi europei non rispetta questi criteri, detti “Parametri di Maastricht”, sono previsti anche piani di rientro con una riduzione graduale di deficit e debito pubblico, e sanzioni per i Paesi che non si adeguano. I dettagli di queste regole fiscali sono molto importanti, perché condizionano i bilanci statali.
Il Patto di stabilità e crescita è stato sospeso nel 2020, anno in cui la pandemia da Covid19 ha costretto i governi nazionali ad aumentare in maniera imprevedibile la spesa pubblica, e mantenuto in stand-by anche negli anni successivi a causa della crisi energetica. Le regole si sono dimostrate così difficili da rispettare che ad aprile 2023 la Commissione europea ha proposto un “nuovo” Patto, più adatto alla realtà economica attuale.
I governi dei 27 Paesi infatti lo hanno discusso per mesi, prima di arrivare a un compromesso che dovrà ora essere accettato anche dal Parlamento europeo. La trattativa è stata complicata soprattutto perché alcuni Stati vogliono norme fiscali più “rigide”: i cosiddetti “falchi” o “Paesi frugali”, generalmente del Nord Europa. Altri, quelli maggiormente indebitati, soprattutto nel Sud Europa, vorrebbero regole più “morbide”.
I Paesi capofila delle due fazioni sono Germania e Francia. Proprio grazie a un accordo preliminare fra il ministro delle Finanze Tedesco Christian Lindner e quello francese Bruno Le Maire, raggiunto il 19 dicembre a Parigi, è stato possibile trovare l'intesa collettiva il giorno successivo, in una riunione in videoconferenza di circa due ore fra tutti i 27.
Le decisioni in materia economica nell’Unione europea vanno prese all’unanimità fra i 27 Paesi membri, ma è innegabile il peso del cosiddetto “asse franco-tedesco”. Tanto che a volte gli altri risentono di questa dinamica: in uno degli incontri per discutere la riforma a novembre, informati di una cena fra Lindner e Le Maire per appianare le differenze, alcuni ministri hanno ironicamente chiesto se potevano venire per il dolce o per il caffè, secondo un retroscena riportato dal quotidiano Politico.
📖 Le nuove regole economiche dell’UE
La nuova architettura fiscale dell’Unione conferma i Parametri di Maastricht, ma modifica i piani di rientro previsti per i Paesi che non li rispettano.
Se il debito pubblico di uno Stato supera il 60% del suo PIL, o il suo deficit supera il 3% del PIL, il governo di quel Paese riceve dalla Commissione europea una “traiettoria di bilancio”, cioè indicazioni specifiche per realizzare investimenti pubblici e riforme volte a garantire una riduzione del debito e una crescita sostenibile.
Questi piani strutturali avranno una durata di quattro anni, estendibili a sette: ogni anno il debito pubblico deve calare dello 0,5% del PIL nei Paesi che ce l’hanno tra il 60 e il 90% del proprio Prodotto interno lordo, e dell’1% per quelli in cui supera il 90% (come l’Italia, 142,4%).
Le “traiettorie di bilancio” puntano anche a ridurre il deficit di ogni Paese a un livello massimo dell’1,5%, in modo da avere un ulteriore margine rispetto al limite del 3%, utile in caso di crisi improvvise. Per farlo, gli Stati devono ridurre il proprio deficit dello 0,4% del PIL nei casi di piani quadriennali e dello 0,25% in quelli settennali.
Ci sono comunque alcuni elementi di flessibilità: ad esempio, un “periodo transitorio” fino al 2027, in cui la Commissione può tenere conto dell'aumento dei tassi di interesse sul debito, che farebbero aumentare la spesa pubblica dei Paesi più indebitati. Anche gli aumenti di spesa per la transizione ecologica e per l’industria della Difesa vanno tenuti in considerazione nell’elaborazione delle “traiettorie di bilancio”.
"Il nuovo Patto risulta per l'Italia migliorativo rispetto alle condizioni del passato", è stato il commento ufficiale della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Come spesso accade, il bicchiere può essere mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda delle interpretazioni: all’Italia e agli altri Paesi più indebitati sarà richiesta una riduzione più graduale, ma non ci sono molti “sconti”, cioè voci di spesa che verranno automaticamente escluse dal calcolo di deficit e debito pubblico.
💶 Cosa c’entra il Mes?
Nel dibattito pubblico italiano sul Patto di stabilità ha trovato molto spazio anche un altro tema legato all’economia e all’Europa, ma non collegato direttamente alla riforma delle regole fiscali.
Riguarda il “Meccanismo europeo di stabilità” (Mes), uno strumento istituito dai 20 Paesi che adottano l’Euro come moneta, per accantonare una riserva di denaro da utilizzare in caso di necessità. Da questo fondo, spesso chiamato “salva-Stati”, si possono attingere in totale 500 miliardi di prestiti, ma i Paesi che lo fanno devono sottostare a determinate condizioni e accettare un piano di riforme e tagli alla spesa pubblica concordato con Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale: tre istituzioni a cui ci si riferisce con l’espressione “Troika”.
L’Italia è l’unico Paese a non aver ratificato la riforma del Mes, che introduce due novità: un fondo per aiutare le banche europee in difficoltà, finanziato dalle banche stesse, e l’obbligo per i Paesi che usufruiscono del Mes di emettere titoli di Stato “particolari”, che permetterebbero più facilmente di restituire agli investitori meno di quanto prestato.
Si tratta di aspetti estremamente tecnici, i cui rischi e benefici possono probabilmente essere valutati solo dagli esperti del settore. In Italia, però, la questione ha assunto da anni forti connotati politici.
Alcuni partiti considerano il Mes “un cappio al collo”, come disse Giorgia Meloni nel 2020, quando ancora non era presidente del Consiglio. Fratelli d’Italia, Lega e Movimento 5 Stelle sono fortemente contrari sia al “fondo salva-Stati” in sé, che hanno aspramente criticato in passato, sia alle novità introdotte: nell’ultima votazione alla Camera dei Deputati, il 21 dicembre, la ratifica della riforma è stata bocciata con soli 72 voti a favore, 184 contrari e 44 astenuti.
La mancata ratifica del Parlamento italiano impedisce alla riforma del Mes di entrare in vigore, ma per la verità la questione appare molto marginale a Bruxelles. In Italia, più che gli effetti economici dello strumento, sembrano interessare quelli politici: il Mes divide la maggioranza di governo (Forza Italia non critica il Mes e si è astenuta nell’ultima votazione, al contrario di FdI e Lega) e anche l’opposizione (il Partito democratico, Italia Viva e Azione sono favorevoli alla riforma, al contrario del M5S).
Secondo alcuni analisti, l’approvazione della riforma del Mes era per il governo italiano una sorta di “contropartita” da giocarsi nella trattativa sul Patto di stabilità, che invece ha ricadute importanti sull’economia nazionale. E la mancata ratifica sarebbe dunque una sorta di “ripicca” per un accordo considerato nel complesso piuttosto deludente.
🇮🇹 L’Italia è il secondo Paese più indebitato dell’UE
🚌 Autobus elettrici a Milano con risorse europee
Tra gli investimenti legati alla transizione ecologica, che la Commissione europea dovrà tenere in considerazione nel valutare la spesa degli Stati UE, rientrano quelli per la mobilità pubblica, spesso co-finanziati tramite risorse europee e nazionali. A Milano, ad esempio, tutti gli autobus alimentati a gasolio saranno sostituiti da mezzi elettrici. L’Azienda Trasporti Milanesi (Atm) prevede di avere una flotta di 1.200 bus elettrici nel 2030; al momento ne circolano 250.
🎙️ Per raccontare come sta cambiando la forma dell’Unione europea grazie alle politiche di coesione e quale è il loro impatto sulla vita quotidiana dei giovani abbiamo realizzato Shape of EU, un podcast in collaborazione con la Direzione generale della Politica regionale e urbana della Commissione Europea 👇
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