L’UE è divisa sul conflitto a Gaza
Stati membri e istituzioni UE hanno posizioni diverse sulla guerra a Gaza, con conseguenze sulla politica estera europea
Ciao!
Io sono Vincenzo Genovese e questa è Spinelli, la newsletter settimanale di Will che racconta l’Unione europea da Bruxelles.
Questa settimana parliamo della posizione europea - o forse sarebbe meglio dire delle posizioni europee - sul conflitto tra Israele e Hamas. Lunedì 22 gennaio l’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’UE Josep Borrell ha infatti sottoposto ai ministri dei 27 Stati membri l’idea di lavorare a un “piano di pace”, che parta dalla creazione di uno Stato palestinese.
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🇪🇺 Gli Stati europei hanno posizioni differenti sul conflitto a Gaza
La cosiddetta “soluzione a due Stati” è in teoria un punto fermo della politica europea nel conflitto israelo-palestinese. Già nel Consiglio europeo di Berlino del 1999 l'UE si dichiarava pronta a "riconoscere uno Stato palestinese a tempo debito". Ma finora lo hanno fatto soltanto 9 Stati su 27 e tutti, tranne la Svezia, quando ancora non facevano parte dell'Unione.
Per motivi storici, politici ed economici, i Paesi europei hanno sensibilità diverse sulla questione israelo-palestinese. Queste divergenze sono diventate del tutto evidenti dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre e dopo la conseguente risposta militare israeliana nella Striscia di Gaza.
Sull’attacco in sé, la posizione dei Paesi UE è stata univoca: ferma condanna di Hamas, che l’UE considera un’organizzazione terroristica, e solidarietà al popolo israeliano. Sulla guerra a Gaza, la linea concordata dai capi di Stato e di governo nel Consiglio europeo di ottobre 2023 è piuttosto equilibrata: sostiene il diritto di Israele all'autodifesa, ma “nel rispetto del diritto internazionale umanitario”.
Già allora l’Unione esprimeva preoccupazione per le morti, i feriti e le distruzioni e provocati dai bombardamenti israeliani, chiedendo di istituire “pause e corridoi umanitari”. L’elaborazione di questa richiesta è stata piuttosto complicata, con una discussione durata un intero pomeriggio sulle parole da utilizzare.
Diversi Stati dell’UE, infatti, auspicano un “cessate il fuoco” da parte di Israele, cioè la sospensione delle attività militari. I più attivi in questo senso sono Spagna e Belgio, i cui capi di governo a novembre hanno visitato il lato egiziano del valico di Rafah, che segna il confine tra Egitto e la Striscia di Gaza. La visita aveva innescato uno scontro diplomatico con il governo israeliano, che li aveva accusati di sostenere il terrorismo. L’Irlanda è fra i promotori della possibilità di introdurre sanzioni europee contro i coloni israeliani che hanno occupato illegalmente il territorio della Cisgiordania.
Fra i Paesi più inclini al sostegno a Israele ci sono invece Austria, Cechia, Ungheria e Germania. Alcuni di questi hanno pubblicamente criticato l’iniziativa del Sudafrica di accusare Israele di genocidio davanti alla Corte internazionale di Giustizia dell’Aia.
Le divisioni dei Paesi UE sono emerse anche durante il voto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 12 dicembre 2023, che chiedeva un “immediato cessate il fuoco umanitario” a Gaza. 17 Paesi dell’UE hanno votato a favore; due contro (Austria e Cechia) e otto (tra cui l’Italia) si sono astenuti.
La bandiera di Israele proiettata sulla Commissione europea in segno di solidarietà all’indomani dell’attacco di Hamas
🤔 Anche il Parlamento europeo è diviso sulla guerra a Gaza
Le posizioni variano anche a seconda delle istituzioni europee. Al contrario del Consiglio, il Parlamento europeo ha chiesto un “cessate il fuoco permanente” con una risoluzione approvata il 18 gennaio.
Ma anche in questo caso la questione ha suscitato profonde divisioni. La risoluzione è stata presentata dai principali gruppi di sinistra dell’Eurocamera: i Socialisti e Democratici (S&D), i Verdi/Alleanza libera per l’Europa (V/Ale) e i liberali di Renew Europe (RE). Quelli di estrema destra l’hanno boicottata, mentre il Partito popolare europeo, il gruppo più numeroso del Parlamento, ha presentato un emendamento molto significativo e dibattuto, tanto da essere approvato per pochissimi voti: 257 a favore, 242 contrari e 17 astenuti. L’emendamento precisa le due condizioni a cui dev'essere subordinato il cessate il fuoco: il rilascio immediato di tutti gli ostaggi detenuti a Gaza e lo smantellamento di Hamas. In pratica, gli obiettivi della campagna militare di Israele.
In una delle sue dichiarazioni più controverse, all’Università di Valladolid, Borrell ha accusato Israele di aver finanziato Hamas per indebolire l’Autorità nazionale palestinese
🎤 I politici europei usano toni diversi quando parlano del conflitto
Oltre alle divisioni fra gli Stati e quelle fra i gruppi politici, sembrano emergere posizioni personali differenti fra le figure di rilievo dell’Unione europea.
Le presidenti di Commissione e Parlamento europeo, Ursula von der Leyen e Roberta Metsola, hanno scelto di esporre la bandiera di Israele sulle rispettive istituzioni per l’attacco del 7 ottobre e hanno compiuto un viaggio istituzionale nel Paese pochi giorni dopo.
Un messaggio di solidarietà che secondo alcuni rappresentava un appoggio esplicito alla guerra nella Striscia di Gaza, in cui al momento della visita ufficiale si contavano già più vittime di quante ne aveva fatte Hamas il 7 ottobre.
Altri esponenti di spicco della politica comunitaria hanno invece detto in maniera esplicita che la guerra di Israele a Gaza viola il diritto internazionale umanitario. Lo ha fatto il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, alla fine del Consiglio europeo di ottobre, e soprattutto l’Alto rappresentante Josep Borrell, a più riprese, e con toni sempre più critici nei confronti del governo israeliano.
"Il modo in cui cercano di distruggere Hamas non è quello giusto, perché così seminano odio per generazioni", le sue parole all’arrivo all’ultima riunione dei ministri degli Affari esteri a Bruxelles.
🗳️ I Paesi dell’UE non hanno una linea comune sulla guerra
🎭 Il più antico teatro d’Europa ristrutturato coi fondi di coesione
Il più antico teatro d’Europa si trova in Italia: è il San Carlo di Napoli, fondato nel 1737 e inserito nella lista dei Patrimoni dell’umanità dall’Unesco. Per la sua ristrutturazione sono stati usati 19,7 milioni del Fondo europeo di sviluppo regionale, come raccontiamo in questo post.
🎙️ Per raccontare come sta cambiando la forma dell’Unione europea grazie alle politiche di coesione e quale è il loro impatto sulla vita quotidiana dei giovani abbiamo realizzato Shape of EU, un podcast in collaborazione con la Direzione generale della Politica regionale e urbana della Commissione Europea 👇
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