La prima legge europea contro la violenza di genere
Una direttiva fissa pene uniformi nell’UE per crimini come la mutilazione genitale o le molestie online, ma è sfumato l’accordo sul reato di stupro
Ciao!
Io sono Vincenzo Genovese e questa è Spinelli, la newsletter settimanale di Will che racconta l’Unione europea da Bruxelles.
Questa settimana Ursula von der Leyen ha presentato la strategia industriale per la difesa dell’Unione europea ed è stata eletta candidata capolista del Partito popolare europeo (PPE) al congresso del partito a Bucarest.
Ursula von der Leyen era l’unica candidata al congresso del PPE e ha ottenuto l’82% dei consensi. Circa 300 delegati dei partiti di centro-destra europei però non hanno espresso il proprio voto. L’ironia sui social non è mancata
Noi celebriamo la Giornata internazionale della donna parlando della prima legge europea contro la violenza di genere. Non è ancora in vigore, ma dovrebbe presto essere formalmente approvata da Consiglio e Parlamento europeo, che hanno trovato un accordo sul testo legislativo lo scorso 6 febbraio.
Nell’Unione europea una donna su dieci ha subito una qualche forma di violenza sessuale dopo i 15 anni e una su venti è stata vittima di stupro, secondo un’indagine dell’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali. Solo il 14% delle donne ha denunciato alla polizia l’episodio più grave di violenza inflitta dal partner e sempre solo il 13% ha denunciato alla polizia il caso più grave di violenza inflitta da persone diverse dal partner.
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🇪🇺 Le misure per contrastare la violenza di genere
La direttiva, proposta dalla Commissione europea proprio l’8 marzo di due anni fa, rende punibili in tutta l’UE diverse forme di violenza contro le donne, tra cui la mutilazione genitale femminile e il matrimonio forzato.
Saranno adottate regole specifiche anche sulla violenza online, in modo da colmare le lacune giuridiche di alcuni Paesi dell'UE in materia. Verrà punito il cyberflashing, pratica che consiste nell’inviare immagini di nudo senza il consenso del destinatario.
Altri comportamenti come lo stalking online e il revenge porn, ossia la diffusione non consensuale di immagini intime di una persona, saranno considerati un crimine a livello europeo se in grado di causare seri danni psicologici a chi li subisce.
Le regole si applicheranno anche alla condivisione di immagini pornografiche generate dall'intelligenza artificiale: i cosiddetti deepfake di nudo, di cui è stata vittima di recente anche la popstar Taylor Swift e che sono in aumento in Europa.
In più ci saranno delle circostanze aggravanti: ad esempio se i reati sono commessi contro pubblici ufficiali, giornaliste, attiviste per i diritti umani.
L’accordo prevede una possibile revisione della legge a cinque anni dall’entrata in vigore, e include pure l’obbligo per gli Stati membri dell’UE di rinforzare le misure di prevenzione dello stupro e l’educazione sull’importanza del consenso nei rapporti sessuali.
❌ Il reato di stupro non è stato incluso nella legge
Il mancato inserimento del reato di stupro è stato il punto più controverso della direttiva.
La proposta originaria della Commissione europea includeva infatti tra i crimini puniti il reato di stupro, identificato come: “qualsiasi atto non consensuale di penetrazione vaginale, anale od orale, commesso con qualsiasi parte del corpo o con un oggetto”.
La definizione ricalca quella dell’Articolo 36 della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne: qualunque atto sessuale senza consenso è uno stupro.
Nelle legislazioni nazionali di diversi Paesi dell’Unione europea, invece, lo stupro deve includere uso della violenza o minacce per essere punibile. Del resto, non tutti i Paesi dell’UE hanno ratificato la Convenzione di Istanbul, che è stata emanata dal Consiglio d’Europa, la principale organizzazione di difesa dei diritti umani in Europa. Lituania, Cechia, Slovacchia, Ungheria e Bulgaria mancano all’appello.
E anche alcuni di quelli che l’hanno fatto, come l’Italia, non basano la definizione di stupro sull’assenza di consenso: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni”, si legge all’Articolo 609bis del Codice Penale.
Anche per questo la Commissione (e il Parlamento) volevano introdurre una definizione comune a livello europeo. Ma molti Stati membri si sono opposti.
Come emerge da fonti diplomatiche, in alcuni casi non si è trattato di un’opposizione nel merito della definizione, ma nel metodo della legge. Francia, Germania, Austria e Paesi Bassi contestano l’inclusione nella direttiva della definizione di stupro, che non è giuridicamente qualificabile come "crimine europeo".
I crimini europei sono una categoria particolare di reati gravi con una dimensione transnazionale, per cui è possibile stabilire definizioni e pene comuni fra i Paesi dell’UE (al contrario del resto della legislazione penale, che è di competenza nazionale). Secondo l’Articolo 83 del Trattato sull’Unione europea, lo si può fare in materia di terrorismo, sfruttamento sessuale di donne e bambini, traffico di droga e armi, riciclaggio di denaro, corruzione, contraffazione di valuta, criminalità organizzata e cibernetica. Per i Paesi contrari, il reato di stupro non rientra in nessuna di queste aree: una tesi avvalorata anche dal servizio giuridico del Consiglio dell’UE.
Ciò non significa, ovviamente, che il reato non sia punito in questi Paesi, anzi: la Francia è uno degli Stati con la pena più alta, 15 anni. Ma probabilmente resta un'occasione mancata per regolamentare a livello europeo una delle forme più odiose di violenza.
Le due eurodeputate relatrici della direttiva, l’irlandese Frances Fitzgerald (a sinistra) e la svedese Evin Incir (a destra), molto critica per la mancata inclusione del reato di stupro
📃 In metà dell’UE il sesso senza consenso non è considerato stupro
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Le politiche di coesione sociale dell’UE contribuiscono a combattere la violenza contro le donne in Italia, supportando le associazioni e gli sportelli antiviolenza che si occupano del problema. Un esempio concreto è il PON Metro (Programma Operativo Città Metropolitane) con una dotazione di quasi 7,4 milioni di euro dedicata alla realizzazione di servizi residenziali per donne vittime di violenza a Bologna, Roma, Palermo, Napoli e Venezia.
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