Cosa succede quando i capi di governo si incontrano?
Parliamo del Consiglio europeo e di come funzionano gli incontri fra i 27 capi di Stato e di governo dell’UE
Ciao!
Io sono Vincenzo Genovese e questa è Spinelli, la newsletter settimanale di Will che racconta l’Unione europea da Bruxelles.
Questa settimana è scomparso Jacques Delors, considerato “l’architetto dell’Unione europea di oggi”. È stato presidente della Commissione europea dal 1985 al 1995 e sotto la sua presidenza è nata ufficialmente l’UE, con la firma del Trattato di Maastricht. Ma anche gli accordi di Schengen, che ci permettono di circolare liberamente fra i Paesi europei e il programma Erasmus, che ci consente di studiare all’estero per un anno.
Oggi qui su Spinelli parliamo del Consiglio europeo, cioè di come funzionano gli incontri fra i 27 capi di Stato e di governo dell’UE.
Nell’ultimo Consiglio europeo dell’anno, il 14-15 dicembre, è stata presa una decisione storica. L’Unione europea ha aperto i negoziati di adesione con l’Ucraina e la Moldova, concesso lo status di Paese candidato all’ingresso nell’UE alla Georgia, e avvierà i negoziati pure con la Bosnia-Erzegovina a marzo 2024, se sarà raggiunto “il necessario livello di conformità con i criteri di adesione”.
🕓 Questa newsletter oggi conta 1.501 parole e si legge tutta in 8 minuti.
Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel scende in sala stampa per annunciare l’apertura dei negoziati
🇪🇺 Cosa fa, esattamente, il Consiglio europeo?
Partiamo dall’inizio. Il Consiglio europeo è l’organo che “definisce le priorità e gli orientamenti politici” dell’UE, tradotto: fa le scelte importanti.
Ne fanno parte i capi di Stato o di governo dei 27 Stati membri dell'UE, il presidente della Commissione europea e il presidente del Consiglio europeo stesso, eletto all’inizio della legislatura con un mandato di due anni e mezzo (lo avevamo raccontato nel dettaglio in Spinelli del 15 dicembre).
Si riunisce di norma quattro volte all’anno a Bruxelles in un palazzo che si chiama “Europa”, solitamente a marzo, giugno, ottobre e dicembre. Ma ci possono essere riunioni straordinarie e vertici informali: questi ultimi avvengono di solito non nella capitale belga, ma nel Paese che detiene la presidenza di turno dell’UE (anche questa spiegata bene su Spinelli del 15 dicembre).
Nei giorni del vertice fra i capi di Stato e di governo, Bruxelles si trasforma. Il quartiere europeo viene militarizzato, con filo spinato e cavalli di frisia agli ingressi delle strade che portano al Palazzo Europa. Gli elicotteri volteggiano sul quartiere europeo mentre le auto dei leader dei 27 Paesi arrivano scortate dalla polizia a sirene spiegate.
Quando ci sono tutti si comincia, e se manca qualcuno, peggio per lui. Al Consiglio europeo non si può delegare un ministro o un vice-presidente, ma al massimo farsi rappresentare temporaneamente da un capo di governo di un altro Paese, circostanza che comunque capita molto di rado.
Le riunioni durano generalmente due giorni, spesso notti comprese. Non è raro che le discussioni si prolunghino fino a molto tardi, e in alcuni casi che sforino pure nei giorni successivi. Nell’ultimo vertice, la prima giornata di trattative è finita alle 2:30 del mattino, mentre nell’estate 2020 il summit è durato addirittura cinque giorni, necessari per trovare l’accordo sul Next GenerationEu.
🗣️ Di cosa parlano i leader?
L’ordine del giorno delle discussioni viene stilato dal presidente del Consiglio europeo, al momento il belga Charles Michel, che deve fare una sintesi fra le richieste dei vari Stati e gli input della Commissione europea.
Ci sono sempre gli argomenti più urgenti: dal febbraio 2022 quasi ogni sessione si apre con la guerra in Ucraina e le sue conseguenze, prima c’era spesso la pandemia da Covid19 al centro dei vertici. Migrazioni, economia e sicurezza fanno spesso parte dell’agenda, mentre negli ultimi summit si è parlato anche della situazione in Medio Oriente e dell’allargamento dell’UE.
In alcuni casi i dibattiti sono così confidenziali che ai leader non è concesso nemmeno di portare il proprio cellulare nella stanza: ad esempio quando si parla di sanzioni alla Russia o di strategie nei confronti della Cina, per evitare qualsiasi rischio di intercettazione.
Mentre loro parlano, centinaia di giornalisti aspettano assiepati nel grande atrio del palazzo, perché in quei giorni ne arrivano così tanti dai Paesi europei ed extra-europei che è impossibile ospitarli tutti in sala stampa. Ogni tanto nei corridoi spunta un ambasciatore, un diplomatico, un funzionario che viene subito preso d’assalto per avere informazioni e dettagli della discussione.
La verità è che nemmeno gli ambasciatori e i portavoce sanno esattamente cosa si sono detti i capi di Stato e di governo. Di solito ricevono brevi feedback durante le pause e poi parlano con i giornalisti cercando più che altro di tirare acqua al proprio mulino: cioè sottolineando gli aspetti della discussione più positivi per il proprio capo.
In casi eccezionali sono direttamente i leader nazionali a raggiungere la sala stampa, come ha fatto lo scorso giugno il primo ministro belga Alexander De Croo (in foto) o ai tempi l’allora presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte
Alla fine di ogni vertice, il presidente del Consiglio europeo, quello della Commissione europea e quello del Paese che detiene la presidenza di turno dell’UE fanno una conferenza stampa. Anche gli altri capi di Stato e di governo possono fare conferenze o rispondere alle domande dei giornalisti fermandosi a parlare mentre escono dall’edificio, in quelli che in gergo vengono chiamati “doorstep”.
Urusla von der Leyen, Charles Michel e il presidente spagnolo Pedro Sánchez si avviano verso la sala stampa: è il momento finale del Consiglio europe
Urusla von der Leyen, Charles Michel e il presidente spagnolo Pedro Sánchez si avviano verso la sala stampa: è il momento finale del Consiglio europeo
☕️ Il coffee break di Orbán
Ogni vertice adotta delle conclusioni, che poi andranno tradotte in leggi e misure concrete da parte delle altre istituzioni dell’UE. Perché siano approvate, tutti i 27 devono essere d’accordo: quindi spesso i vertici si trasformano in battaglie sulla composizione dei paragrafi, la formulazione delle frasi, perfino le singole parole. Nel Consiglio europeo di ottobre, ad esempio, alcuni Stati volevano chiedere una “tregua” nell’offensiva di Israele sulla striscia di Gaza, altri un “cessate il fuoco”. Sembra una disputa puramente lessicale, ma la discussione è durata un pomeriggio intero, e ha partorito “corridoi umanitari e pause per necessità umanitarie”.
Altre volte le questioni sono molto più sostanziali. Per esempio l’ultima volta, quando si doveva decidere sull’apertura dei negoziati di adesione per Ucraina e Moldava ed è successa una cosa molto insolita, praticamente senza precedenti.
Il primo ministro dell’Ungheria Viktor Orbán sembrava determinato a usare il suo potere di veto per bloccare la decisione. In tanti hanno provato a convincerlo, dai capi di governo di Francia e Germania, alla presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni. Alla fine, l’idea migliore l’ha avuta il cancelliere tedesco Olaf Scholz.
Orbán si è assentato dalla sala: un “coffee break” fondamentale per permettere ai suoi omologhi di aprire i negoziati e al tempo stesso non cambiare posizione sul tema. “È una decisione inutile, irrazionale e sbagliata, ma gli altri 26 Paesi hanno insistito…” ha infatti raccontato Orbán in un video su Facebook.
In pratica, uno stratagemma per salvare la faccia, che non cambia la sostanza. L’astensione è prevista nelle regole del Consiglio europeo, ma significa di fatto accettare una decisione. E Viktor Orbán non accetta mai una decisione quando non gli piace: nello stesso vertice, ha bloccato la revisione del bilancio dell’UE, che comprende un fondo da 50 miliardi di euro per sostenere l’Ucraina contro l’invasione russa. Su questo, non c’è stato verso di fargli cambiare idea, né di fargli prendere un caffè.
Il coffee break di Orbán ha subito scatenato l’ironia
Fonte: @LeChouNews
🇭🇺 L’Ungheria ha solo il 2% della popolazione dell’UE, ma è il Paese che mette più veti
⛑️ Coi Fondi di coesione un aiuto per i senzatetto
Da Bruxelles voliamo a Palermo, per raccontarvi il progetto Dimora, che ha aiutato 600 persone senzatetto nel capoluogo siciliano, grazie anche a circa tre milioni e mezzo di fondi di coesione dell’Unione europea. Unità formate da operatori socio-sanitari esperti raggiungono le persone senza fissa dimora per le strade palermitane, offrono loro l’assistenza necessaria, e valutano la possibilità di trasferirle all’interno di uno dei tre rifugi allestiti in città: “Martin Luther King”, “San Francesco” e “San Carlo”. Poi, nell’attesa di trovare una casa propria, gli ospiti possono vivere in un appartamento insieme ad altri coinquilini con alle spalle percorsi simili, per un periodo massimo di 12 mesi.
🎙️ Per raccontare come sta cambiando la forma dell’Unione europea grazie alle politiche di coesione e quale è il loro impatto sulla vita quotidiana dei giovani abbiamo realizzato Shape of EU, un podcast in collaborazione con la Direzione generale della Politica regionale e urbana della Commissione Europea 👇
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